Evviva l’epidurale (quando manca il parto naturale)

Si discute di epidurale, dei suoi effetti collaterali per madri e bambini, di indicazioni, appropriatezza, uso e abuso, di effetti a medio e lungo termine, studiati o non studiati, di diritti della donna, di dolore da abolire, di modernità.

L’epidurale, c’è, è una realtà ben più diffusa in altri paesi che nel nostro, ma noi seguiremo il trend internazionale con i dovuti anni di ritardo.

Viene facile pensare che tale ritardo sia dovuto alla presenza di un forte patriarcato in Italia, e che di conseguenza l’epidurale venga vista e rivendicata come un diritto per la donna, finora negatole; pensata come un progresso emancipativo.

Ma scrutando il tema con uno sguardo più attento, l’epidurale si rivela come il completamento della scissione della donna tra corpo e mente, maternità e sessualità iniziato molti anni prima.

L’epidurale oggi è una questione culturale e una necessità, non solo perché le donne hanno paura del dolore, del partorire, ma sopratutto per le condizioni in cui ha versato il parto negli ultimi decenni.

Ho incontrato una donna a termine della sua gravidanza. Era incerta se  chiedere un epidurale oppure no. Parlando con lei scopro che è un’alpinista. E’ quindi una donna forte, con coraggio, che si espone volontariamente spesso a stress intensi per trovare quell’euforia sulla vetta che la motiva a ripetere costantemente l’esperienza. Niente di più facile per me, usare la sua esperienza come metafora per il parto. Fatto il collegamento dentro di lei, la sua scelta era evidente: scalarla questa montagna con le sue forze. E ovviamente ce l’ha fatta.

Proviamo a seguire le tracce di questo fenomeno dei nostri tempi a ritroso. Com’è nata questa separazione tra sé e l’evento nascita? Questa paura della fatica e del dolore? Questo bisogno di rendere il parto “innocuo” dal punto di vista emozionale e asettico/asessuale?

Da 50 anni il parto  è ospedalizzato e quindi medicalizzato. Ricordo che “medicalizzare” significa applicare le stesse procedure diagnostiche e terapeutiche usate per le poche donne con problemi di salute alle molte donne sane. Il vizio nasce a monte, in una mancata distinzione tra fisiologia e patologia nel piano di assistenza. La medicalizzazione aumenta il dolore e lo rende improduttivo o inutile.

Quindi, almeno due generazioni di donne e uomini sono cresciuti con l’idea che il parto sia una cosa “malata”, dolorosissima e fuori dalla loro competenza, che sia bisognoso di uno specialista. Lo dicono anche i libri scolastici ai bambini.

Il dolore del parto, certo, da sempre si è cercato di lenirlo, di contenerlo, lo chiede la com-passione femminile. Ma finché il dolore veniva contenuto, senza toglierlo, finché le donne potevano partorire e vivere la gratificazione del parto accogliendo il oro bambino, non c’era richiesta da parte loro di eliminarlo. Lo stesso Dick Read, fautore del parto indolore degli anni ’30 in realtà non parla del “togliere il dolore” bensì propone di ridurlo attraverso i mezzi fisiologici affinché il dolore del parto non sia niente che la donna non possa sopportare.

La richiesta di eliminarlo nasce primariamente dalla struttura ospedaliera, che non può tollerare il confronto vivo e quotidiano con l’espressione delle partorienti nelle loro doglie nella misura quantitativa derivante dalla concentrazione di tante nascite nello stesso luogo.

Quindi l’ostetricia ospedaliera nel tempo ha inventato ogni sorta di anestesia e analgesia ben più pericolose e ben più castranti dell’epidurale.

In questa prospettiva le epidurali moderne sono infinitamente migliori e quindi

evviva l’epidurale!

Oggi la richiesta di eliminare il dolore viene anche dalle donne. Vediamo perché.

Da almeno due secoli, il parto naturale nelle società occidentali  e occidentalizzate non c’è più. Da quando la donna è stata distesa a letto per partorire, le doglie si sono trasformate in dolori insopportabili e la donna, resa impotente, non era più in grado di cooperare attivamente con lo stress del parto.

A questa condizione si è aggiunto negli anni dell’ospedalizzazione l’interventismo medico: il monitoraggio, l’immobilità totale, l’ossitocina sintetica e oggi le prostaglandine, il parto pilotato, la rottura delle membrane, la distensione manuale di collo uterino e perineo, le Kristeller, l’episiotomia, le ventose oggi sempre più facili, i parti vaginali operativi – vere violenze, fortunatamente oggi per lo  più sostituiti con il taglio cesareo, l’assenza di sostegno e aiuto, a lungo nemmeno quello del marito, l’allontanamento immediato del bambino, tutti fattori che hanno amplificato il dolore rendendolo insopportabile e hanno tolto anche la gratificazione compensatoria data dall’accoglimento del bambino, lasciando la donna sfinita e triste.

Cosa rimane nella memoria di quelle donne? Di quelle bambine nate che poi hanno ripartorito con il terrore nei visceri altre figlie e figli?

La presa di distanza, la scissione interna è il minimo che posa succedere.  L’esproprio, il disempowerment si è compiuto.

E allora oggi

evviva l’epidurale! 

Permette di non passarci più. Le figlie non devono più sopportare quello che hanno sopportato le loro madri. Evviva, evviva, evviva!

Poi oggi l’epidurale appare come più naturale del parto spontaneo. “Con l’epidurale puoi camminare, con l’epidurale il tempo della spinta non è più limitato all’ora, con l’epidurale puoi anche andare in acqua, anche se non la senti, ma è più naturale, con l’epidurale prendi farmaci, ma non ti fanno niente. Con l’epidurale sorridi durante il parto, un po’ meno quando arriva il bambino, ma almeno lo vedi. Tutto questo non è permesso con il “parto spontaneo”.

Che meraviglia, che sollievo, rispetto al parto traumatico!

Fa meno male. Lascia meno ammaccature. Permette una ripresa più rapida. E’ un indubbio miglioramento rispetto alle condizioni precedenti. E anche più sicuro.

Forse l’epidurale ci riavvicina alla via della fisiologia, e allora:

evviva l’epidurale!

Peccato che abbia alcuni rischi per madre e bambino!

I rischi del parto supino

Mentre si parla dei rischi dell’epidurale, si dimenticano quelli del parto supino, medicalizzato (il 94% secondo una indagine in Germania). Proviamo a confrontare i rischi tra le due modalità.

I potenziali rischi dell’epidurale sono ampiamente descritti nel numero 54 di D&D.

Oserei dire, che molte di queste complicanze, almeno per quanto riguardano il bambino sono simili nel parto supino, medicalizzato, erroneamente chiamato “parto spontaneo”, sono solo meno indagate. Se poi l’epidurale si somma alla posizione supina per partorire, i rischi si associano e radoppiano.

Oppure alcuni dei rischi aggiudicati all’epidurale in realtà sono dovuti alla posizione supina?

Anche il bambino nato da “parto spontaneo” ha problemi di adattamento postnatale e problemi neurocomportamentali. Inoltre incorre tre volte più spesso in convulsioni nel primo anno di vita, che non un bambino nato da parto attivo, verticale (M. Paciornik 1985)). Già in travaglio è sottoposto maggiormente a distress. La compressione della sua testa è maggiore, le malposizioni più frequenti, le bradicardie da impegno e nel periodo espulsivo più lunghe, il liquido tinto più frequente, l’ossigenazione nel periodo espulsivo ridotta a causa delle condizioni materne e della compressione della vena cava.

Rischia poi tutte le lesioni ostetriche dovute all’estrazione forzata e aumenta l’eventualità di una distocia di spalle. La pericolosa manovra di Kristeller (spinta sulla pancia) esercita una pressione sulla sua testa superiore a quella del forcipe. Insieme alle manovre estrattive violente, può indurre nel bambino un tale distress da provocare un soffio al cuore che può durare anche per diverso tempo dopo la nascita. L’eccessiva compressione della testa fetale può provocare nel bambino spasmi addominali e dolori alla base cranica, che inducono un pianto frequente e un’alta richiesta di cura. La prima relazione madre – bambino ne viene disturbata e spesso il primo attaccamento al seno è ritardato, compromettendo poi l’allattamento successivo.

Anche per la madre le difficoltà sono numerose. Il dolore è improduttivo e amplificato, il suo sistema simpatico troppo sollecitato, quindi le tensioni aumentano, accrescendo ulteriormente il dolore. Trovandosi nell’impossibilità di reagire con il movimento, la donna subisce uno stress psico-emotivo forte, oltre a quello fisico. I suoi tessuti pelvici e perineali vengono stirati e compresi eccessivamente, suscitando vissuti di violenza, il suo sistema cardiocircolatorio messo a dura prova con la compressione della vena cava e la congestione della zona toracica durante le spinte forzate. La sua posizione litotomica incoraggia gli operatori ad azioni di accelerazioni non indicate e sempre nocive. L’episiotomia crea una lesione invalidante con relative possibili complicanze.

Gli esiti in cesarei sono più frequenti con parto supino che con epidurale: in Italia siamo al 39% di cesarei. I numeri sono prova del fatto che il parto “normale” nelle condizioni attuali diventa distocico.

Il rischio di morte materna è più alto nel parto supino e medicalizzato che nell’epidurale e questo ancora a causa delle Kristeller, associate a utero tonici che può provocare una rottura d’utero.

Le complicanze a breve, medio e lungo termine per la donna nel parto supino, medicalizzato sono numerose e in parte anche gravi (vedi anche D&D n. 36). Nomino qui ad esempio la sindrome post-traumatica da stress del parto, che solo ultimamente ha attirato l’attenzione degli studiosi, la depressione post partum che è talmente frequente che viene definita “fisiologica”. Secondo Glazener (1995) ancora il  76% delle donne soffre di disturbi legati al parto a un anno e mezzo dopo.

La gratificazione è assente, mentre nell’epidurale è almeno parziale.

Gli anestesisti hanno visto bene: l’epidurale salva dal distress e migliora le condizioni fetali, almeno laddove le condizioni per partorire sono ancora quelle convenzionali.

E quindi ancora

evviva l’epidurale!

Almeno ci porta fuori da questa violenza, anestetizza i soprusi, distanzia il trauma, addormenta le percezioni, il sentire, confonde le tracce.

Quali alternative?

 

E l’empowerment? La salutogenesi? La salute primale? Dove sono rimasti?

Non c’è altra via? Non c’è scelta?

Visto che sia l’epidurale che il parto supino  indeboliscono la salute e la forza di donna e bambino, una terza via dovrebbe aprirsi. La scelta tra un parto violento e l’epidurale non è una scelta vera. Se mi devo strappare un dente e devo scegliere se farlo con o senza analgesia, la risposta e ovvia: con! Il trauma, le complicanze saranno minori (forse).

Tutt’altra cosa è partorire un bambino.

La vera scelta, l’alternativa possibile sia al parto immobilizzato e medicalizzato, sia all’epidurale per tutte c’è,  le ostetriche la conoscono: si chiama parto fisiologico, salutogenico, analgesia naturale, sostegno, assistenza one to one in travaglio. Si chiama ambiente tranquillo, donna attiva, movimento costante, rilassamento. Si chiama cura e nutrimento. Si chiama coccole. Si chiama accoglimento del bambino, gratificazione, forza. Si chiama educazione alla nascita e preparazione alla gestione del dolore.  Si chiama continuità dell’assistenza. Si chiama ostetrica maieutica.

E’ un’alternativa sicura, efficace, qualificante, gratificante. Lo dicono non solo le donne, ma anche le evidenze scientifiche. E con la continuità dell’assistenza la richiesta di analgesia farmacologica scende drasticamente.

Perché allora non aprire anche questa possibilità? Perché non investire nell’ostetrica, oltre che nell’epidurale?

Impossibile? Troppo difficile? Troppo costoso? Troppo impegnativo?

Il problema è un altro: per realizzare questo tipo di assistenza, occorre cambiare radicalmente le condizioni di lavoro delle ostetriche stesse. E’ impossibile umanizzare la nascita, senza umanizzare le condizioni e gli ambienti di lavoro. Occorre ripensarle, uscire dagli schemi, superare le vecchie dinamiche di potere, cercare soluzioni innovative.

Cos’è in gioco?

Per le donne la loro potenza generativa,

per i bambini la loro salute primale e l’attaccamento sicuro,

per gli uomini il passaggio a padre e il rapporto di coppia,

per le ostetriche la propria professione.

Dice Adrienne Rich, autrice del libro “Nato di donna” dalla sua prospettiva di evoluzione storica:

“Le moderne possibilità dell’analgesia stanno creando un nuovo tipo di prigione per le donne; la prigione della non-coscienza, delle sensazioni attutite, dell’amnesia, della passività totale.( …) Ma lo sfuggire al dolore fisico o psichico è un meccanismo pericoloso, che può farci perdere contatto non solo con le sensazioni dolorose, ma con noi stesse!” 

Mentre l’attuale Ministro della Salute auspica il 30% di epidurali per tutte le donne in Italia, il governo inglese ha fatto una scelta diversa: vuole il 75% delle donne assistite da un’ostetrica (Changing Childbirth 1993).

Inghilterra, Olanda, Canada, Nuova Zelanda hanno dato l’esempio su come fare. Le ostetriche sono assunte dalla Regione o dal Servizio Sanitario Nazionale e operano in piccoli teams, prendendosi cura di un gruppo di donne che seguono con continuità dal concepimento fino alle esogestazione e che assistono al parto nel luogo scelto dalla donna.

Mentre avanza l’epidurale, dobbiamo anche cominciare a pensare a nuove soluzioni, costruire una nuova visione della professione, proprio anche dal punto di vista organizzativo dei servizi.

Altrimenti, se tutto deve rimanere com’è attualmente, allora

evviva l’epidurale!

Per fortuna il mondo non è solo bianco o nero. Nonostante la totale mancanza di promozione sociale e politica, ci sono infiniti piccoli e grandi compromessi e esperienze dove le ostetriche, insieme alle donne riescono a mantenere integra la nascita  e a vivere la gratificazione di un parto attraversato con le proprie forze. Insieme tengono viva la fiamma del saper nascere, in attesa di un nuovo appuntamento fra qualche anno o decennio, dove il fuoco potrà di nuovo accendersi e illuminare la scena della nascita.

Mentre manteniamo viva la brace, non dimentichiamo le donne con l’epidurale.

Non dobbiamo cessare di essere ostetriche anche per loro. Sono donne che mettono al mondo un bambino, sono donne che diventano madri. Possiamo aiutarle in questo processo, avvicinandole il più possibile a un percorso fisiologico che, anche se non integro, può mitigare gli effetti dell’indebolimento.

L’assistenza alla donna con epidurale:

  • Stalle vicina, anche se non richiede fortemente la tua presenza come quando ha le doglie
  • Porta la sua attenzione sul processo in atto, sul suo bambino che sta per uscire da lei, che sta lavorando, sul percorso che anche lui sta facendo.
  • Invitala a parlare con il bambino, a spiegargli cosa succede
  • Aiutala a stare con il minimo di farmaco possibile
  • Offrile elementi di analgesia naturale, specialmente nel periodo espulsivo
  • Aiutala a evitare la posizione supina per non associare altri rischi
  • Rendila attiva rispetto alla nascita
  • Massaggia l’utero per centralizzarlo, in modo che il bambino s’impegni meglio possibile
  • Valuta il benessere del bambino in modo circolare, non solo dal battito cardiaco, che può indurre in errore
  • Aiutala a vivere l’espulsione del bambino, rendendola partecipe e cercando di prevenire la ventosa
  • Aiutala nell’accoglimento del bambino, sostienila fortemente verso la fisiologia
  • Aiuta il bambino a trovare la madre, da loro molto tempo e attenzione.
  • Promuovi e sostieni il primo allattamento
  • Evita se possibile la separazione precoce dal bambino

Riferimenti bibliografici:

Expert maternity group (199′): Changing Childbirth, Department of Health, London,  GB

Glazener C.M.A. et al. (1995): Postnatal maternal morbidity: extent, causes, prevention and treatment, J of Obst. And Gyn., vol.102, no 4, pp 282-287

Paciornik M. (1985): Come partorire accoccolate, IPSA, Palermo

Un pensiero su “Evviva l’epidurale (quando manca il parto naturale)

  1. Vedo nell’articolo una presa di posizione forte e coraggiosa.

    Una analisi dettagliata del processo che vivono donnaeostetrica durante il momento della nascita.
    Penso che in italia dove le esperienze sono molto differenti tra il nord e il sud non sara’ne facile ne rapido un sostanziale cambiamento.
    E’nata una consapevolezza differente da un decennio fa sia tra una parte delle donne/uomini che tra le ostetriche.
    Diamoci tempo e organizziamoci sul territorio in modo capillare x continuare a creare una cultura della gravidanza/nascita rivoluzionaria.

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